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NOTA STORICA

Scrive Goldoni essersi con la D. stravagante aperto il carnevale 1760 (Mem. II, XLII); ma la memoria lo tradì. La commedia si diede per la prima volta al san Luca di Venezia nel carnevale 1756; e precisamente secondo il Gradenigo (Cod. 67 al Museo Correr) dopo il Raggiratore (10 gennaio), e prima del Campiello (20 febbraio). N’è lampante conferma una lettera di Gaspare Gozzi al Mastraca, da Venezia 11 febbraio 1756 (Scritt. ined. di G. G. ord. da Tommaseo, Vol. III, p. 322), riportata anche da Achille Neri (Aneddoti gold., pp. 8, 9), nella quale il Gozzi stesso partecipa all’amico di averla ascoltata «due volte con piacere». Bazzecole; ma non tali, per chi sa qual ginepraio sia la cronologia goldoniana.

Ora, francamente, letta e riletta questa commedia, che al prof. Angelo De Gubernatis fece risovvenire la Bisbetica domata dello Shakespeare (Carlo Gold., Corso di lezioni nell’Univ. di Roma, Firenze, Le Monnier, 1911, p. 313), sembrò a noi ravvisarla mediocre ne l’intreccio, ne’ tipi, ne’ la sceneggiatura, financo nei martelliani sciatti e meschini in cui è stesa. Goldoni medesimo dichiara «che trovò un sufficiente incontro, il quale sarebbe stato maggiore se la Bresciani, un poco capricciosa di sua natura, non avesse creduto di rappresentare sè stessa; per cui il suo cattivo umore indebolì l’effetto di tal composizione» (Mem. l. cit.). Fatto sta che assai di rado dovette recitarsi, se a noi riescì azzeccarla appena una volta sola al teatro Re di Milano, da parte della Compagnia ducale di Modena, il 10 dicembre 1829 (I Teatri - Giorn. dramm. music, e coreogr. Milano, Truffi 1829); reggendovisi più che altro per l’ottima esecuzione di F. A. Bon (conte Asdrubale), di Adamo Alberti (Cecchino), e della Luigia Bon (donna Livia). Ed anche al critico di quel giornale parve ripugnante il carattere d’una fanciulla, «la quale avendo sortito buoni natali e civile educazione tiene la più villana condotta con un innamorato che farebbe moneta falsa per lei; nè minor bile desta un giovine che si contenta star tutta la notte, invitato, sotto le finestre della sua bella senza che questa si degni mostrarsene intesa, che agli scherni e alla freddezza di lei risponde con certe frasi amorose degne di un poeta arcadico o piuttosto d’un pazzo»; conchiudendo, falsi i due caratteri, non lodevoli l’orditura nè lo scioglimento della commedia.

Lo scioglimento mandò invece in broda di succiole lo Schedoni (Princ. mor. del Teatro, Modena 1828, p. 85); il quale, incocciatosi a riguardare la scena esclusivamente scuola di morale, si compiace che l’Autore termini «collo scuotere e far ravvedere la protagonista, che bramosa di altrui giovare coll’esempio », finisce così:

          Conosco i miei delirii, fui donna stravagante.
          Perdonimi lo zio, mi torni il primo affetto;
          La suora compatiscami; mi soffra il mio diletto.