Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/182

176 ATTO TERZO


SCENA VII.

La Jacopina, poi Arlecchino.

Jacopina. Meschina di me! Ecco il bel guadagno che ho fatto in quattr’anni per poco salario, e a soffrire le stravaganze di una famiglia di gente pazza. Pazienza! L’andarmene sarebbe il meno; spiacemi la reputazione che posso perdere; e senza colpa, povera me, senza colpa.

Arlecchino. Quella zovene, ve saludo.

Jacopina. (Ci mancava costui ora). (da sè)

Arlecchino. Cossa gh’aveu, che me pare stralunada?

Jacopina. Ho quel che ho; e voi lasciatemi stare.

Arlecchino. Cossa ghe vorria per rallegrarve? un altro scudo?

Jacopina. Nemmeno cento basterebbono a consolarmi.

Arlecchino. Tornème a dar el mio scudo, che mi ve consolo subito subito.

Jacopina. Invece di consolarmi, voi mi recate più noia.

Arlecchino. No me lo volè dar el mio scudo?

Jacopina. No; andate al diavolo.

Arlecchino. Eppur vorave far un’altra scomessa con vu.

Jacopina. Di che?

Arlecchino. Che me tornerè a dar el mio scudo.

Jacopina. Non vi renderò niente. Andate via, e lasciatemi stare. Ho altro in capo che le vostre buffonerie.

Arlecchino. Mi el so quel che ve fa sbacchettar la luna.

Jacopina. (Che lo avesse già detto la padrona, non crederei). (da sè)

Arlecchino. Anca sì, che i ve manda via de sta casa?

Jacopina. Perchè?

Arlecchino. Per un per de maneghetti. Ah? l’oggio indovinada?

Jacopina. (Povera me! la riputazione è perduta). (da sè)

Arlecchino. Ma mi so dove i xe quei maneghetti.

Jacopina. Caro Arlecchino, aiutatemi.

Arlecchino. Ah, ah! caro Arlecchino adesso?

Jacopina. Per carità, ditemi dove sono.

Arlecchino. Tolè, veli qua. (li fa vedere)