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Ottavio. Perchè confondersi, signora mia? Noi siamo comici come gli altri; e se ella ha recitato altrove, può francamente intraprendere a recitare con noi.

Angiola. Eh, signore, vi è una bella differenza dal recitare che ho fatto sinora a quello che si fa qui! Le disgrazie di mio marito m’hanno fatto essere nelle piccole compagnie; e questo è un mondo nuovo per me.

Clarice. Niente, signora. Troverete tanta bontà nel popolo generoso di questa illustre città, che vi darà animo a tutto. Prendete pure coraggiosamente il grado di prima donna...

Angiola. Io prima donna? Scampo via che non mi trovate mai più. Non è poco ch’io mi offerisca servirvi per seconda, per terza, per quarta e per meno ancor, se volete.

Celio. Orsù, signore mie, l’ora si fa tarda e qui conviene risolvere. Non si parli nè di prima, nè di seconda. Il bisogno nostro per ora vuole che ognuno faccia quello che può, e quello che gli verrà assegnato di fare.

Clarice. Bene, a questo patto mi sottoscrivo.

Celio. E voi, signora? (ad Angiola)

Angiola. Disponete pure di me; ma avvertite bene, che se mi metterete in impegni, sarà peggio per voi. Signori, mi raccomando a voi. Abbiate di me quel compatimento che merita il caso mio. Vi giuro che tremo da capo a piedi; ma non so che dire; ci sono e ci devo stare. Il cielo mi assisterà, (parte con il Dottore)

Clarice. Ella trema, ed io sudo. Mi fido della bontà che hanno per me. Spero che mi compatiranno almeno... Chi farà il complimento al popolo?

Celio. O voi, o nessuno.

Clarice. Nessuno dunque. Ve l’ho detto e ve lo torno a dire: io non voglio essere la prima donna. (parte)

Argentina. lo faccio la mia serva e mi basta così. Non è poco che sia compatita nel mio carattere. Se occorrerà, per bisogno qualche altra cosa farò, ma senza idee, senza pretensioni. Siamo tutti compagni, aiutiamoci l’un l’altro; viviamo in pace, se mai si può. Ma ho paura che non si potrà. (parte)