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Ottavio, Florindo, Celio.

Ottavio1. Eccoci qui di bel nuovo, signori compagni carissimi, eccoci qui. Gira, rigira, tornasi poi ogni anno a respirar quest’aria felice, tanto per noi proficua, tanto per noi onorevole.

Florindo2. Grazie al cielo, quest’anno non è morto nessuno della compagnia nostra; non ci presenteremo al popolo come l’anno passato, con una introduzione patetica, ripiena di piagnistei3.

Celio. Saressimo troppo fortunati, se ci presentassimo questa volta senza qualche nuova disgrazia.

Ottavio. Che! abbiamo a essere noi la calamita delle disgrazie?

Celio. Il cuore mi presagisce qualche cosa di stravagante.

Florindo. Caro signor Celio, le predizioni del cuore sono malinconie; sono fantasmi impressi nell’animo dalle disavventure passate, che ne fan temere di nuove.

Celio. Voglia il cielo che i miei timori non sieno che fantasmi vani, ma ho qualche ragione per dubitare.

Ottavio. Se sapete qualche cosa, ditelo, confidatelo; preveniteci, signor Celio.

Celio. No, quando non sia, non vo’ nemmeno che se ne parli. Sapremo or ora la verità. Il signor Pantalone nostro, che è a parte anch’egli de’ miei sospetti, è andato ora per assicurarsene. Sarà qui a momenti da noi.

Florindo. Ma non potreste farci almen la finezza di dirci intorno a che s’aggirino i sospetti vostri?

Celio. Dispensatemi per ora; ve lo domando in grazia.

Ottavio. Per me vi dispenso. Aspetterò di saperlo, quando vi parerà di dirlo; ma se vi fossero qui delle donne, guai a voi se non diceste ogni cosa. Non potrebbono resistere alla curiosità.

Florindo. Questa volta ne ho tanta io della curiosità, che le donne non ne possono avere di più.

Celio. Contenetevi per poco ancora. Il signor Pantalone non può tardare a venire.

  1. È l’attore Francesco Majani: vedasi vol. X, p. 16, n. 3.
  2. L’attore Francesco Falchi: v. vol. IV, 86 e X, 16, n. 1.
  3. Vedasi l’Introduzione dell’anno 1754, nel volume precedente.