Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/485


TORQUATO TASSO 471


SCENA IX.

Torquato e sior Tomio.

Tomio. Sentiu cossa la dise? No par che la ve sfida?

La parla, la manazza coi termini d’Armida:
     «O mia sprezzata forma, a te s’aspetta
     «(Che tua l’ingiuria fu) l’alta vendetta.
Torquato. Duolmi d’averle dato qualche lusinga invano.
Tomio. Ghe voleu ben?
Torquato.   Amico, non son del tutto insano.
È ver che la ragione talor cede all’amore,
Ma in me spente non sono le massime d’onore.
Tomio. No la saria gran cossa amar una puttazza;
Xe pezo amar quell’altra, se el Duca ve manazza.
Torquato. Del Duca le minaccie per questo i’ non pavento.
Sospetta, e i suoi sospetti non hanno un fondamento.
Può gelosia nel Prence svegliar la diffidenza,
Ma la passione istessa dà luogo alla clemenza.
Tomio. Va ben, ma sarà meggio che vegnì via con mi.
Torquato. Amico, ho già risolto.
Tomio.   De vegnir?
Torquato.   Di star qui.
Tomio. Vardè ben quel che fè.
Torquato.   Vuol l’onor mio ch’io resti.
Varie son le ragioni, vari i motivi onesti.
Si sa che ’l Duca irato volea la mia partenza:
Confesserei, partendo, macchiata la coscienza.
De’ miei nemici è nota l’ira, le trame, il foco:
Lor cederei partendo troppo vilmente il loco.
E la Gerusalemme, che dar degg’io corretta,
Prima che di qui parta, vuò rendere perfetta.
Questa s’aggiunga all’altre ragion forti e sincere:
In me sospetta il mondo fiamme che non son vere;
Ma quando m’allontani per così ria cagione,
Pon perdere due donne la lor riputazione.