Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/341


TERENZIO 329
Fabio. Osserva il grave passo altero, (facendo lo stesso)

Lisca. Grave lo fa ricchezza.
Fabio.   Ha dalla sorte impero.

SCENA II.

Lucano e detti.

Fabio. Signor, lascia ch’io baci di questa toga un lembo,

Che Roma copre in faccia delle sventure al nembo.
Tanto l’onor sublime di tuo cliente estimo,
Ch’essere mi procaccio ad inchinarti il primo.
Lucano. Al Senato m’invio. Tu mi precedi, e prendi
Per l’umili tue cure la sportula che attendi.
(dà alcune monete a Fabio)
Fabio. Deh non fia ver... (mostra ricusarle)
Lucano.   Ricevi questo leggier tributo
Dai padri della patria agli umili dovuto.
La cena offriasi un tempo per sportula ai clienti,
Or della cena in luogo ori si danno e argenti.
Lisca. Ad altri offerte sono le cene ed i conviti.
Lucano. Sì, Lisca, offerte sono le cene ai parassiti.
Chi nome tal non sdegna, alle mie mense attendo.
Lisca. L’onor mi fa superbo; del nome io non mi offendo.
Lucano. Che dicesi da Roma del mio comico vate?
Fabio. Andrà di gloria carco in questa e in ogni etate.
Lisca. Stupido ognun l’ammira.
Fabio.   Piace lo stile eletto.
Lisca. Felice è negl’intrecci.
Fabio.   Nel scioglierli perfetto.
Lisca. Dai stranieri non ruba.
Fabio.   Cerca l’invenzione.
Lisca. Parlasi per giustizia.
Fabio.   Non è adulazione.
Lucano. Da me sua libertade Roma impaziente attende.
Fabio. La libertà de’ schiavi o si dona, o si vende.