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TERENZIO 323
Livia. Non sol lo puoi, ma il devi.

Terenzio.   Ecceder non vorrei
Coi termini il confine prescritto ai dover miei.
Livia. Un comico poeta, un peregrino ingegno,
Che di pensier vezzosi, che di concetti è pregno,
Sa quel che a lui s’aspetta, sa quel che più conviene
A donna che si spiega vegliar per il suo bene.
Terenzio. A donna che vegliasse per il mio ben soltanto,
E a me non opponesse dell’eroine il vanto,
Termini convenienti direi del mio rispetto.
Livia. Di rispetto soltanto?
Terenzio.   E termini d’affetto.
Livia. Fammi sentir, Terenzio, prova del dolce stile,
Che grato usar sapresti con femmina più vile.
Terenzio. Donna, direi, che in seno tanta pietate accoglie,
Grato secondi il cielo in mio favor tue voglie.
Alto di me disponi, dispon di questo cuore:
T’offro qual più ti piace, la servitù o l’amore.
Livia. A chi parli, Terenzio?
Terenzio.   Parlar così dovrei
A donna che gradire potesse i sensi miei.
Livia. Teco non sono austera, non son di grazie parca;
Stimerei di te meno un principe, un monarca.
Roma sprezzar c’insegna chi di lei non è figlio;
Ma rispettare il merto è nobile consiglio.
A te che per virtute resero i Dei felice,
Permettersi può quello che a uno stranier non lice.
Terenzio. Dunque, se m’avvaloro per tua bontade estrema,
Se più il tuo servo onori di scettro e diadema,
Lascia ch’io sfoghi in parte il giubilo che pruovo...
Livia. (Si rivolta altrove, in atto di arrossire.)
Terenzio. (Costei m’offre alle scene un carattere nuovo), (da sè)
Lascia che dir ti possa, ch’hanno formato i numi
Per far altrui felice quel volto e quei be’ lumi!..
Livia. Basta così.