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292 ATTO TERZO


Ermanno. Lo sposo è qui. Ella tanto lo può ricevere dalle vostre mani, quanto dalle nostre; anzi sono tanto vicini, che non hanno bisogno nè di voi, ne di me.

Aurelia. Laurina, accostatevi.

Laurina. Perchè, signora?

Aurelia. Perchè voglio che dalle mie mani riceviate lo sposo.

Laurina. Eccomi ai vostri comandi. (si accosta a donna Aurelia)

Florindo. Anch’io, signora, poichè volete onorarmi.... (si accosta a donna Aurelio)

Aurelia. Non v’incomodate, signore. Mia figlia ha da ricevere da me lo sposo. Gliel’ho promesso, gliel’ho trovato, ed eccolo nel conte Ottavio.

Florindo. Come?

Lucrezia. Che impertinenza è questa?

Ermanno. Signore, avvertite che mia nipote non ha un soldo di dote. (al conte Ottavio)

Aurelia. Non è convenevole che un cavaliere di qualità sposi una dama senza la convenevole dote.

Lucrezia. Lasciate dunque che la sposi il signor Florindo, il quale non solo la pretende, ma le fa egli la contraddote.

Aurelia. No; vi è il suo rimedio. Se l’avarizia della zia nega alla nipote la dote, sarà impegno del di lei sposo il conseguirla col tempo. Frattanto, perchè ella non resti indotata, perchè non sembri una perdita la contraddote ideale che promettevale il signor Florindo, tenete, Laurina mia: eccovi una donazione della mia dote, colla quale intendo di costituire la vostra. (dà un foglio a Laurina)

Florindo. Signora donna Lucrezia, signor don Ermanno, fatemi mantener la parola.

Lucrezia. Sì signore, io gli ho promesso, e voglio che si sostenga l’impegno mio.

Ermanno. La contraddote ha da venire nelle nostre mani.

Pantalone. Intanto co sti negozi, patroni cari, mi perdo el tempo e no fazzo gnente. La me daga i bezzi. (a Florindo)

Florindo. Aspettate: i vostri danari sono qui.