Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/288

278 ATTO TERZO


Laurina. Signora madre... (raccomandandosi)

Lucrezia. (Se va in ritiro, può essere che non esca più). (da sè)

Laurina. Signora madre... (come sopra)

Aurelia. Ne parleremo, signora cognata.

Lucrezia. Pensateci, e risolviamo. Se Florindo l’avesse presa, non ci sarebbero state difficoltà.

Aurelia. Laurina non lo avrebbe preso giammai.

Lucrezia. Perchè?

Aurelia. Per non disgustare sua madre.

Laurina. Certo non la disgusterei per tutto l’oro del mondo. Ella non vuole ch’io vada in ritiro, e non ci anderò.

Lucrezia. Mi fate ridere, donna Aurelia. Non ha sposato il signor Florindo, perchè si è scoperto aver egli dei debiti, aver ipotecati i suoi beni, e non essere in grado di assegnarle la contraddote; per altro ella era sul punto di dargli francamente la mano.

Aurelia. Senti, Laurina?

Laurina. Non è vero, signora.

Lucrezia. Non è vero? Audace, non è vero? Siete una sfacciatela. L’amor della madre vi rende ardita a tal segno, e la sua troppa condescendenza vi farebbe divenir peggio ancora. Ci metterò io rimedio. Domani, o per amore, o per forza, vi anderete a chiudere nel ritiro. (parte)

SCENA IV.

Donna Aurelia e donna Laurina.

Laurina. Signora madre... (raccomandandosi)

Aurelia. Eh, signora figliuola! Voi siete d’un bel carattere, per quel che vedo.

Laurina. Via, non mi fate piangere...

Aurelia. Meritereste che vi facessi piangere amaramente. Ma vi amo troppo. Però l’amor mio non mi renderà cieca a tal segno di compiacervi soverchiamente. Se meno vi amassi, non penserei alla vostra fortuna. Procurerò di farla, ancorchè non la meritate: e se da voi non posso sperare quella mercede che