Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu/161


L'IMPOSTORE 153


Orazio. Ho fatto dire assai più al signor vostro padre.

Ottavio. Che gli avete voi fatto dire?

Orazio. Che desidero la di lui figliuola in isposa.

Ottavio. E qual risposta ne avete voi riportata?

Orazio. Favorevole più ch’io non mi era creduto.

Ottavio. Mio padre non mi ha ancor detto nulla.

Orazio. Non crederà necessario di dirvelo.

Ottavio. Credo ben io necessario d’illuminarlo.

Orazio. Di che, signore?

Ottavio. Di meglio assicurarsi dell’esser vostro, prima di sagrificare una figlia.

Orazio. L’esser mio gli è noto bastantemente.

Ottavio. Con qual fondamento?

Orazio. Con quello delle mie lettere e delle mie cambiali.

Ottavio. Eh signore, vi sono dei belli spiriti in questo mondo.

Orazio. Che vorreste voi dire?

Ottavio. Ho sentito in collegio raccontare di belle storie di caratteri, di firme e di bravure d’ingegno.

Orazio. Come! Mi taccereste voi d’impostore?

Ottavio. Non ardisco di farlo; ma quando voi dubitaste che ciò di voi si temesse, sareste in impegno d’onore di giustificar l’esser vostro.

Orazio. Come parrebbe a voi che io dovessi giustificarlo?

Ottavio. Di qual paese siete, signore?

Orazio. Sono di questo mondo.

Ottavio. Il mondo è pieno d’uomini onesti e d’impostori indegni.

Orazio. In quale di queste due classi intendereste voi collocarmi?

Ottavio. Datevi meglio a conoscere, e non avrò riguardo veruno a dirvi in faccia la mia sentenza.

Orazio. La maniera vostra di rispondere è una manifesta temerità.

Ottavio. La condotta vostra è una manifesta impostura.

Orazio. Se non foss’io in casa vostra, vi farei conoscere chi sono.

Ottavio. Usciamo in questo momento.

Orazio. Uscirò anche troppo presto per voi. Vo’ prima attendere vostro padre. Vo’ esigere il mio denaro, e poi, signor