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NOTA STORICA


Nel 1754 le rivalità fra i partigiani del Goldoni e quelli del Chiari raggiunsero la fase più acuta; se ne disputava al teatro, nelle case, nei caffè, dappertutto. Anche al Ridotto tra un faraoncino e l’altro, avreste udito certuni che tenendo «mascherata la faccia credono aver mascherata pure la lingua...., e in questo modo decidono della riputazione d’un uomo senza avvedersi che lo hanno talvolta dietro alle spalle a fremere e ad ascoltarli». Così, a proposito di costoro, Goldoni nella prefazione al Contrattempo (v. vol. IX della presente ediz.), stesa in quell’anno medesimo (nota giustamente Achille Neri ne’ suoi Aneddoti Goldoniani, p. 3), mentre si trovava ancora sotto la viva impressione del casetto capitatogli appunto al Ridotto; quando cioè mascheratosi e trascinatosi colà a bandire la malinconia per la caduta del Vecchio bizzarro, dovette coi propri orecchi sentir malignare che Goldoni aveva oramai vuotato il sacco; e da una maschera con voce nasale: «Il portafogli è esaurito; intendo dire di quei manoscritti che hanno somministrato al Goldoni tutto ciò che ha fatto fin qui» (Mem. II, XVI). Che sotto quel volto si celasse Carlo Gozzi, come sospetta Ferdinando Galanti (C. G. e Ven. nel sec. XVIII p. 231), o piuttosto «il N. H. Zorzi Baffo, sfegatato chiarista e spasimante per la Sposa persiana» come dubita Giuseppe Ortolani (Della vita e dell’arte di C. G., p. 76), non m’arrogo decidere. Fatto sta che Goldoni scappa a casa; e in mancanza di sonno, almanacca sul miglior modo di vendicarsi. E bell’e trovato; allo spuntar del giorno mette mano ad una commedia in 5 atti ed in versi martelliani, al Festino (Mem., ibid.), lo finisce nel brevissimo giro di soli cinque di e v’innesta a mo’ di episodio critiche e lodi fatte specialmente alla Sposa persiana (Cfr. Maria Ortiz, Comm. esotiche del G., pp. 40 e 55); ottenendo, quando venne rappresentato sul finire del carnevale di quell’anno «veri segni d’amore e di compatimento» (Pref. alla comm. nell’ed. Pitteri, t. II).

Troviamo infatti nel primo atto una sua fautrice che risponde ad un’amica, secondo la quale da uno scrittore tanto fecondo «che scriva sempre meglio, l’universale aspetta»: «È vero ed abbiam visto di sue fatiche il frutto | ma un uom che scrive assai, bene non può far tutto» (Sc. V). E da altra dama (a. II, se. XII) cui venne detto che la Sposa persiana diletta ma non può dirsi commedia: «Eppure è un’opra tale che trentaquattro sere | ha sempre fatto gente e a tutti diè piacere». Finalmente nella sc. V dell’ultimo atto, avendo alcuno manifestato che il Festino non dispiacerà, trovandovisi il vero, gli viene risposto confermando: «Infatti il grand’onore che si acquistò Molière| fu perchè con il vero studiava di piacere». Riportiamo questi ultimi versi, specie gli ultimi, sia pure autoapologetici.