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452 ATTO SECONDO

Brighella. In questo, la perdona, no me par che la possa parlar cussì. L’ha preteso de far una bell’azion a pagar sto debito per vussignoria; el l’ha fatto senza interesse; no l’è omo che sia capace de voler un soldo de più. Ma nol se pol obbligar.

Ottavio. Ma non può obbligar nemmeno me, che io gli lasci nelle mani un anello che vale dugento zecchini, per un’ipoteca di quaranta ducati; o mi renderà il mio anello, perchè li possa ritrovare in un altro luogo.

Brighella. No so mo, se el la intenderà cussì...

Ottavio. Tu sei quello delle difficoltà. So io quel che dico, e non ho bisogno che tu mi faccia il pedante.

Brighella. Diseva cussì, perchè me pareva...

Ottavio. Va a vedere se trovi il signor Pantalone, e digli che mi preme parlargli, che favorisca venir da me.

Brighella. La vol mo anca che el s’incomoda a venir da ela?

Ottavio. Tu sei il maggior seccatore del mondo. Fa quel che ti dico, e non replicare.

Brighella. Son un seccator, l’è la verità, ma no posso far de manco de no seccarla un altro tantin, se la me permette.

Ottavio. Che cosa mi vorresti dire? Parla.

Brighella. Ghe domando perdon.

Ottavio. Via, parla; sbrigati.

Brighella. Se de quattro mesi de salario, che avanzo, la me ne favorisse almanco do...

Ottavio. Va a ritrovare il signor Pantalone.

Brighella. Ho bisogno de camise e de scarpe...

Ottavio. Va a ritrovare il signor Pantalone.

Brighella. Lo cercherò; ma la prego per carità...

Ottavio. Va a ritrovare il signor Pantalone. (gli getta un guanto nel viso)

Brighella. I poveri servitori no i se paga cussì. (parte)

Ottavio. A un uomo che ha perso i denari al giuoco, codesto stolido viene a domandare il salario. Io sono in disperazione. Il giuoco mi ha rovinato. Se non mi rimetto in qualche maniera, sono in grado di andarmene da Venezia, abbandonar