Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/456

444 ATTO PRIMO


che di quello alle più volgari comune? D’ogni nostra parola s’ha da dubitare? Ogni nostra passione sarà sospetta? Di tutto, rispetto a noi, s’ha da formare un mistero? Anche la virtù in una donna si vuol far passar per difetto. Fratello mio, se la rassegnazione e il rispetto non vagliono a meritarmi la vostra fede, comandatemi, ed attendete che in avvenire io vi obbedisca con pena, col desiderio di scuotere un giogo, che ormai diviene indiscreto. (parte)

Florindo. Flamminia. Ella parte adirata. Spiacemi disgustarla, perchè non lo merita. Parmi strano ch’ella ami tanto il soggiorno d’una città, non avendo penato mai ad abbandonarne alcun’altra. Venezia per ragione del padre può dirsi nostra patria, egli è vero, ma non credea che una donna giungesse tanto ad amarla. Capisco che mia sorella è assai ragionevole, ed io le fo torto a dubitare della sua virtù. Penserò a qualche altra risoluzione, e se Ottavio ardirà pretendere... Ottavio potrebbe anche cambiar costume. Il tempo mi darà regola, e nelle mie risoluzioni non lascierò di consigliare una donna, che supera tante altre nella virtù. (parte)

SCENA XIII.

Strada.

Brighella, poi Martino.

Brighella. Mi no so dove diavolo dar la testa per impegnar sto anello. I vol troppo de usura. I vol magnar tutto lori; e mi vorria che ghe fusse qualcossa da magnar anca per mi.

Martino. Sior Pantalon voggio che el me la paga. Per causa soa perderò quaranta ducatelli d’arzento?

Brighella. (Anca questo qualche volta el se diletta de tor roba in pegno). (da sè)

Martino. Se no giera quel sior bravazzo della favetta1, sangue de diana, m’averave fatto pagar. El foresto no andava via del casin senza darme o bezzi, o pegno.

  1. «Di pura apparenza»: v. vol. II, 420, n. I.