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IL FILOSOFO INGLESE 373

SCENA VIII.

Maestro Panich, poi Milord Wambert.

Panich. Glielo dirò senz’altro. Mi... lord... in... cor... te... acce... se.

Intendo: fa milord ribelle del paese.
Nel leggere lo scritto non fondo la mia gloria,
Ma leggo lo stampato, ed ho buona memoria.
Milord. ( Venendo dalla bottega del libraio.)
Se n’anderà Jacobbe. Se n’anderà, il prometto:
Lo voglio fuor di Londra di madama a dispetto.
Ricusa il mio danaro? Mi fa così gran torto?
Lontan da questo suolo deve andar vivo o morto.
Dicolo senza caldo, dicolo allor ch’io penso
Che la ragione in parte abbia frenato il senso.
Egli non viverebbe, se di là prima uscia,
Se a me si presentava in mezzo all’ira mia.
Panich. Milord, son tre minuti che aspetto per parlarti.
Milord. Perchè non avanzarvi?
Panich.   Temea di disturbarti.
Batter le mani e i piedi ti vidi stranamente;
Invasa dalle stelle credevo la tua mente.
Lo vedi? In questo foglio per te vi è un complimento;
Se leggere lo sai, ne resterai contento.
Milord. Che è questo?
Panich.   Una insolente satira a te diretta,
Composta da Jacobbe per far di te vendetta.
Tieni, che te la dono; lo stile suo si sente.
L’ho letta, e l’ho capita perfettissimamente. (parte)

SCENA IX.

Milord Wambert solo.

Satire a me? Jacobbe audace a questo segno?

Non lo credo. Sì poco non temerà il mio sdegno.