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364 ATTO TERZO

SCENA XVII.

Birone e detti.

Birone.   Signore. (a Jacobbe)

Jacobbe.   Da me che cosa vuoi?
Birone. Col foglio e questa borsa milord mi manda a voi.
M. Brindè. Stelle! che fia?
Jacobbe.   Leggiamo.
M. Brindè. (Si alza) Servitevi.
Jacobbe.   Sedete.
Dei sensi di milord voi testimon sarete.
(siedono, e Jacobbe apre e legge)
Amico, in Voi favelli timore ovver rispetto,
Le scuse, le discolpe, le umiliazioni accetto.
Mi scordo d’ogni offesa, ogni onta vi perdono;
In atto di amicizia, cento ghinee vi dono:
Ma a ciò che immantinente da Londra allontanato,
A viver vi portiate, Jacob, in altro Stato.
Nulla al bisogno vostro vi mancherà, lo giuro:
Ma se doman qui siete, di me non vi assicuro.

M. Brindè. Che sento? (si alza)
Jacobbe.   Non partite. Recatemi da scrivere, (a Birone)
M. Brindè. Oimè!
Jacobbe.   Non si sgomenta un uom che sappia vivere.
M. Brindè. Milord è risoluto, conosco il suo costume.
Jacobbe. Bastami in mia difesa dell’innocenza il nume.
Birone. Eccovi il calamaio.
Jacobbe.   Aspetta.
Birone.   Sì, signore.
M. Brindè. Deh, non vi rovinate.
Jacobbe.   Non abbiate timore.
Scusi, milord, s’io scrivo su questo foglio istesso.
Al cuor che mi ridona, tenuto io mi professo.
Se il suo dinar rimando, egli è perch’io nol merto;
La libertà non vendo con un mercato aperto.