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54 ATTO SECONDO

Pantalone. Vien siora Rosaura; la ghe diga qualcossa. Sentimo se ela inclinasse a sto matrimonio.

Beatrice. Convien farlo con arte, per non lusingarla invano.

SCENA XIII.

Rosaura e detti.

Rosaura. Signora Marchesa, io in Montefosco non ci posso più stare.

Beatrice. Perchè?

Rosaura. Ho sentito queste femmine impertinenti cantare una canzone contro di me. Mi dicono cantando cento improperi, cento impertinenze.

Pantalone. Eh! cara fia, avere strainteso; non ho mai sentio, che ste donne sappia cantar sta sorte de canzon.

Rosaura. Le ho sentite io ora, in questo punto. Una canzone napolitana, fatta contro di me.

Beatrice. Queste insolenti, giuro al cielo, me la pagheranno. Se lo saprà il Marchesino mio figlio, farà i suoi giusti risentimenti.

Rosaura. Oh! il Marchesino lo sa.

Beatrice. Lo sa! Come vi è noto che egli lo sappia?

Rosaura. È anch’egli in casa di Giannina; canta anch’egli la canzonetta contro di me, e anzi credo che egli ne sia stato l’autore.1

Beatrice. Non è possibile; v’ingannerete.

Rosaura. Eh! no signora. Non m’inganno. Il nostro giardino corrisponde sotto le finestre di Giannina. Ho inteso cantare, e mi sono accostata. Quando mi hanno veduta, hanno cantato più forte, e il signor Marchesino faceva da maestro di cappella.

Pantalone. Sonavelo la spinetta?

Beatrice. Signor Pantalone, andate subito in casa di colei. Dite a mio figlio che venga qui.

Pantalone. Vago subito.

  1. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Pant. (Oh che fio!) Beatr. Non è ecc.».