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220 ATTO PRIMO

Beatrice. Oh caro signor Ottavio, non vi cambierei con un re di corona.

Ottavio. Sentite, signor Pantalone? Queste sono espressioni, che fanno innamorare per forza.

Pantalone. Siora Beatrice, za che la xe una donna savia e prudente, e che la vol tanto ben a so mario, la fazza un’azion da par suo; la procura che torna in casa sior Florindo.

Beatrice. Tornar in casa Florindo? S’egli entra per una porta, io vado fuori per l’altra.

Ottavio. No, vita mia, non dubitate... (a Beatrice)

Pantalone. Mo cossa mai gh’alo fatto?

Beatrice. Mille impertinenze. Mille male creanze. Mi ha perduto cento volte il rispetto.

Ottavio. Sentite, non ve lo diceva io? (a Pantalone)

Beatrice. È un temerario, presontuoso, superbo. Ha tutti i malanni addosso.

Ottavio. Ah? (a Pantalone)

Pantalone. El xe zovene, el xe stà avvezzo a esser carezzà...

Beatrice. Che non ho io fatto con quell’asinaccio? L’ho trattato più che da madre. Gli ho fatto mille finezze. Non egli è vero? (ad Ottavio)

Ottavio. È verissimo. Anzi, quasi quasi, mi parevano un poco troppe.

Beatrice. Ed egli, ingrato, mi rese male per bene.

Pantalone. A sto mondo tutto se comoda. In che consiste i so mancamenti?

Beatrice. Ecco qui suo padre. Domandateli a lui.

Pantalone. Via, mettemo in chiaro tutte ste cosse, e vedemo se ghe xe caso de giustarla. Parlè, sior Ottavio, cossa alo fatto?

Ottavio. Io per dirvela, di certe cose procuro scordarmene per non inquietarmi. Ne ha fatte tante, che ho dovuto cacciarlo via.

Pantalone. El ghe n’ha fatte tante, ma co no ve le arecordè, bisogna che le sia liziere.

Beatrice. Sì, leggiere? Non vi ricordate, signor Ottavio, quando ha avuto ardire di strapazzarmi in presenza vostra?