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mento del teatro tra noi. E la commedia si stampò non in edizione speciele, ma nel secondo volume del Paperini.

Le Memorie (P. 1. e 27), le prefazioni biografiche (Voi. 1, pp. 69, 70) e massime l’importante premessa alla Sposa persiana con frammenti di lettere del Maffei al Nostro (Ed. Pitteri I, Pasq. XIII) ci ragguagliano sui rapporti corsi tra i due; rapporti lumeggiati da Achille Neri (Aneddoti cit. p. 23 segg.) e da Maria Ortiz (Strenna cit.). Certo par singolare che il G. indirizzasse proprio la sua prima commedia in versi martelliani a chi, secondo l’ideatore del nuovo metro, quanti fossero per adottarlo «pregava supplicava, scongiurava, | Che quasi peste il mirtiliano verso | Fosse dalle lor favole fuggito» (Carducci, Opere, XIV p. 164); a chi da Radamanto era stato condannato a non parlare, o solo ne’ metri di Mirtilo, finché non si fosse purgato del peccato dell’ambizione (Femia sentenziato). Ma il Femia e del 1724. Nel 1727 il suo autore era mancato ai vivi. In quasi trent’anni bizze letterarie perdono forza e sapore. Il Maffei del resto, grazie proprio al Moliere, s’era ricreduto delle sue sentenze troppo recise. Se non del coturno, s’acconciò a ritenere il martelliano degno del socco e non negò l’appoggio della sua autorità al confratello. Così ai loro buoni rapporti noi dobbiamo una delle dedicatorie più significative del teatro goldoniano (V: Storia letteraria ecc. Modena, 1753, Libro I, e. II, p. 29), il Maffei un omaggio bellissimo, del quale la stima immensa che faceva di sè «oltre il debito e il diritto» (Carducci, l. cit. p. 157) si sarà compiaciuta, e il Goldoni questo breve elogio che al Marchese piacque farne nel suo celebre Trattato, dandone prima notizia all’encomiato in lettera del 7 maggio 1753 (Ed. Pitteri, l. c.): «In molte [commedie] del Sign. Goldoni chi non vede di quanta moralità più volte si faccia pompa? Questi due autori [il G. e il Fagiuoli] hanno fatto vedere come riescono popolarmente le buone Comedie anche in prosa, e come non c’è punto bisogno, che siano licenziose, per essere applaudite, e gradite» (De’ teatri antichi e moderni, ecc. Verona, 1753, p. 27). Breve e misurato elogio, limitato alla moraltà delle commedie goldoniane e all’essere quelle fino allora composte tutte in prosa. Avvertì l’opportuno prudente restrittivo in molte e la critica - sfuggita forse più che voluta - del si faccia pompa. Il Goldoni invece spende e spande l’incenso intorno al capo dell’autore della Merope, salvo a moderare il suo entusiasmo quando il marchese era già agli Elisi. Nel ’57 bensì, mentre dell’autorità del Maffei si faceva forte contro le ingiurie di F. R. Morando, le commedie maffeiane erano ancora «lodabilissime» (Ed. Pitteri, 1. cit.). Il Morando, autore di una tragedia dimenticata, aveva qualificato lui e i seguaci suoi nell’uso del martelliano gente nata per infamia dell’arte (ivi). E il Gold, volle rivedere le buccie alla sua misera tragedia, ma men portato alle acri guerre della penna che ai mutui compatimenti, finì col lodarne alcuni tratti, dove, a creder suo, l’a. avea perfino superato il maestro [Maffei]! Due anni dopo, in lettera al Vendramin (28 agosto. Mantovani, p. 138), la commedia delle Cerimonie è detta con poco rispetto alla memoria dell’autore «seccante all’ultimo segno» C’era bensì equivoco, l’avverte il Vendramin, con la Scolastica, e il Nostro allora senza esitare gratifica dell’epiteto un’opera di Messer Ludovico. Nelle Memorie (P. I, c. 27) si fa solo fugace menzione della fortuna della tragedia e dell’insuccesso del commediografo, e, errore già da altri avvertito (Ortolani, Settecento, Venezia,