Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, IX.djvu/366

352 ATTO SECONDO

Arlecchino. E mi che fa cinque.

Brighella. Ma desperade per cossa? Fursi per curiosità de saver quel che se fa là dentro?

Corallina. Non è curiosità, ma volontà rabbiosissima di sapere.

Beatrice. Mi preme di mio marito.

Eleonora. Voglio sapere di mio marito.

Rosaura. Vo’ sapere che fa il mio sposo.

Corallina. Ed io non ho nè parenti, nè amici, ma ho certo naturale, che vorrei sapere tutti li fatti di questo mondo.

Arlecchino. Da resto pò, no se pol dir che le sia curiose.

Brighella. Signore, le se ferma un tantin. (Ste donne vol far nasser dei despiaseri; adesso ghe remedierò mi). (da sè) Vorle vegnir là dentro?

Corallina. Oh, il ciel volesse!

Beatrice. Pagherei cento scudi.

Brighella. Zitto. Le lassa far a mi, che da galantomo le voggio sodisfar.

Beatrice. Ma come?

Brighella. Se fidele de mi?

Corallina. Sì, Brighella è uomo d’onore. Fo io la sicurtà per lui.

Brighella. Arlecchin, ti sa1 dov’è la porta che referisse in cantina.

Arlecchino. Cussì no la savessio! Ho portà tante volte la legna.

Brighella. Tiò sta chiave. Averzi quella porta che va nella stradella; condusile drento con quella lanterna, e po serra, e vien per de qua, che te aspetto.

Beatrice. Ah Brighella, non ci tradire.

Brighella. Me maraveggio: le se fida de mi.

Corallina. Finalmente siamo quattro donne, non abbiamo paura nè di venti, nè di trenta uomini.

Arlecchino. Le favorissa, le vegna con mi, che averò l’onor de far la figura de condottier. (parte)

Beatrice. Rosaura, andiamo. Già che ci siete, non so che dire. (parte)

  1. Pap.: ti ti sa.