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488 ATTO TERZO

Toni. Come che diseva, sior Ottavio, sta putta giera promessa con un putto de garbo, fio d’un fattor, civiletto; se no ghe lo demo, la se despiera.

Salamina. Lo stato in cui ora mi trovo, non mi consiglia a ricusare un tale partito; nè io voglio privar mia figlia della buona fortuna di sposare un uomo dabbene.

Toni. Dei bezzi ch’ella m’ha dà, gh’ho ancora cento ducati, e ghe li dago per dota.

Salamina. Siete un uomo di garbo.

Toni. Andemo a casa. Andemo a trovar sta putta e consolarla. (parte)

Pantalone. Poverazza, la xe là che la sgangolissea.

Salamina. L’abbraccierò più contento, potendo io contribuire a farla felice con il mio assenso. Musa, andiamo. (parte)

Pantalone. Andemo, sior Bagiggi caro.

Musa. Anca tia me cognossira?

Pantalone. Te cognossira segura. Fin adessa dove stata?

Musa. Stata sglava.

Pantalone. E adessa servira?

Musa. E adessa voler vendira bagiggia. (parte)

Pantalone. El gh’ha un muso che fa spavento. Bisogna che Checca sia scampada per paura de quella barba. (parte)

SCENA IX.

Strada con case civili.

Lelio ed Arlecchino.

Lelio. Fortuna ingrata!

Arlecchino. Sorte traditora!

Lelio. Un uomo del merito mio dalle femmine sarà deriso?

Arlecchino. Un omo della mia sorte morirà dalla fame?

Lelio. Vi è nessuno che sia più di me grazioso?

Arlecchino. Gh’è nissun che d’appetito staga meio de mi?

Lelio. Questo volto può essere più ben fatto?

  1. Spasima per voglia.