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Eleonora. Ed io sarò quella che gli formerà ostacolo al conseguimento di una sì estraordinaria fortuna?

Livia. Sino ch’egli è impegnato con voi, non può dispor di se stesso.

Eleonora. Oimè! Come viver potrei senza del mio adorato Guglielmo?

Livia. Ditemi, gentilissima Eleonora, ha egli con voi altro debito, oltre quello della fede promessa?

Eleonora. No certamente, sono un’onesta fanciulla; e se cadei nella debolezza di venir io stessa a rintracciarlo in Palermo, venni scortata da un fido servo, e trasportata da un eccesso d’amore.

Livia. Voi non vorrete perdere il frutto delle vostre attenzioni.

Eleonora. Perderlo non dovrei certamente.

Livia. Quand’è così, sposate Guglielmo, e sarete due miserabili.

Eleonora. Povero il mio cuore! Egli è soverchiamente angustiato.

SCENA II.

Cameriere e dette.

Cameriere. Signora, queste venti doppie le manda la signora D. Aurora, ed il signor Guglielmo le ha portate fino alla porta.

Livia. Che ha detto nel dare a voi questa borsa?

Cameriere. Mi ha ordinato dirle espressamente, che una donna prudente la invia e che l’ha portata un uomo onorato.

Livia. (Sì, Guglielmo è onorato. Se nelle miserie in cui si trova, mi manda le venti doppie per salvar il decoro di D. Aurora, convien dire ch’egli apprezzi molto l’onore. Andate). (cameriere via) Ah, Eleonora, Guglielmo merita una gran fortuna. Il cielo gliela offerisce, e voi gliela strappate di pugno.

Eleonora. Voi mi trafiggete, voi mi uccidete. Ditemi, che far potrei per non essere la cagione della sua rovina? Potrei sagrificar l’amor mio, potrei perdere il cuore, potrei donargli la vita? Ma come riparare all’onore? Come rimediare sii disordini della mia fuga? Che sarebbe, misera, sventurata, di me?