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Marchese. Che fate qui?

Guglielmo. Gnente, signore, vago per la mia strada.

Marchese. Queste strade le passeggierete per poco.

Guglielmo. Perchè?

Marchese. Nella nostra città noi non vogliamo parabolani.

Guglielmo. Perchè me dala sto titolo?

Marchese. Perchè se foste un uomo dotto, avreste seguitata la vostra professione dell’avvocato; ma siccome l’avrete esercitata con impostura, senza alcun fondamento, così sarete stato scoperto e mandato via.

Guglielmo. Oh, la s’inganna! Son vegnù per mia elezion; perchè la mia vocazion me chiamava a un altro esercizio, a un impiego che me pareva più dolce e più piasevole dell’avvocatura.

Marchese. Orsù, siete un ignorante, e dovete partir di Palermo.

Guglielmo. Pazienza, anderò via, ma se da tutte le città se scazzasse le persone ignoranti, se popolaria le campagne.

Marchese. Siete un temerario.

Guglielmo. Perchè digo la mia rason, son un temerario; ma se tasesse, saria un babuin.

Marchese. Che bravo signor avvocato! Quanti avete assassinato nel vostro studio?

Guglielmo. Mi non ho sassinà nissun, e se ela, co la gh’aveva la so causa, la fusse vegnua da mi, la l’averia vadagnada in vece de perderla.

Marchese. L’averci guadagnata? Sapete voi qual fosse la mia causa?

Guglielmo. Se la so! E come!

Marchese. E dite che l’avreste guadagnata?

Guglielmo. Assolutamente. Me dala licenza che ghe diga brevemente la mia opinion?

Marchese. Sì, dite. (Sentiamo cosa sa dire costui).

Guglielmo. Nella so causa, se trattava de ricuperar un’annua rendita de siemille scudi; e la domanda xe giusta; e se el so difensor no fallava l’ordene, la causa s’averia vadagnà. Se trova in ti libri della so casa, che i marchesi de Tivoli pagava alla