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patron de casa soa, e mi ho ricevesto troppi favori; ma un zorno vegniremo in chiaro de tutto. Sior D. Filiberto, ghe domando novamente perdon, la ringrazio infinitamente, e me darò l’onor de reverirla con comodo.

Filiberto. Ehi, sentite, di quelle dieci doppie cosa facciamo?

Guglielmo. Delle diese doppie... No so cossa dir... farò tutto quello che la comanda. (El vol indrio anca le diese doppie: bisognerà darghele).

Filiberto. Gli uomini d’onore non cercano approfittarsi dell’altrui denaro.

Guglielmo. Ella xe un galantomo, e tal me professo d’esser anca mi.

Filiberto. Ecco le dieci doppie. (mostra la borsa)

Guglielmo. Sior sì, ecco qua le so diese doppie. (fa lo stesso)

Filiberto. Come? Sono qui le vostre dieci doppie.

Guglielmo. Le mie? Digo che le soe xe in sta borsa.

Filiberto. Oh bellissima! Non avete voi dato dieci doppie effettive di Spagna a mia moglie per la cioccolata?

Guglielmo. Oh giusto; ela m’ha dà diese doppie a mi per le mie occorrenze.

Filiberto. Come va questa cosa?

Guglielmo. Ecco siora D. Aurora; ela saverà tutto.

SCENA VIII.

Donna Aurora e detti.

Filiberto. Moglie mia, queste dieci doppie a chi vanno?

Guglielmo. E queste a chi vale?

Aurora. (Oh diavolo! Cosa dirò?) Chi le ha, se le tenga.

Filiberto. Io non le voglio.

Guglielmo. Gnanca mi certo.

Aurora. Chi non le vuol, non le merita. Le prendo io. (E le restituirò a D. Livia). (via)

Filiberto. Dunque voi non avete dato a mia moglie le dieci doppie?

Guglielmo. Anzi ela m’ha dà a mi le altre diese.

Filiberto. (Come diavolo va questa cosa! Mia moglie venti doppie!)