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L'INCOGNITA 119

Ottavio. Sull’alba del giorno? Seco tacitamente?

Rosaura. Sappiate, signore...

Ottavio. Voi siete quella giovane savia, che sa con tanto rigore difendere la propria onestà?

Rosaura. Deh, ascoltatemi...

Ottavio. Sareste forse una pazzarella, che fugge da un amante per riserbarsi ad un altro?

Rosaura. Deh, ascoltatemi per pietà!

Ottavio. Parlate, e non isperate da me soccorso, senza giustificarmi la vostra condotta.

Rosaura. Ah sì, malgrado la confusione in cui sono, parlerò, mio signore, sì, parlerò. Giuro esser sincera; se tal non sono, scacciatemi, e se vi pare ch’io meriti la vostra pietà, datemi quel soccorso che esigono le mie sventure.

Ottavio. Via, parlate. (Il di lei volto non mi fa credere ch’ella abbia il cuore scorretto). (da sè)

SCENA V.

Beatrice ed i suddetti.

Beatrice. Mi consolo, signor consorte; vi divertite di buon mattino. Non mi stupisco, se vi annoiate di giacere nel letto, poichè una sì bella cagione vi sollecita ad essere vigilante.

Ottavio. Sospendete di mal pensare di me e di questa povera sventurata.

Rosaura. Signora, io sono povera, ma onorata.

Beatrice. Le povere che oneste sono, non vanno a quest ora a chieder l’elemosina agli ammogliati.

Rosaura. Io non sono venuta qui a chiedere un pane.

Beatrice. Dunque che pretendete?

Rosaura. Assistenza, protezione e pietà.

Beatrice. Non temete; il signor Ottavio è pieno di carità per le belle giovani, come voi siete.

Ottavio. Consorte mia, la fanciulla che voi vedete, ha d’uopo