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LA FINTA AMMALATA 487

Onesti. Sarei troppo ingrato e incivile, se ricusassi la generosa offerta che voi mi fate. Prima però d’accettarla, pregovi assicurarmi che non vi resti verun sospetto ch’io l’abbia nel visitarla sedotta.

Pantalone. Me maraveggio. So el vostro carattere, e po mia fia e siora Beatrice m’ha dito tanto che basta.

Onesti. Quand’è così, accetto da voi il prezioso dono che mi esibite; e volgendomi alla signora Rosaura, la supplico a non isdegnar la mia mano.

Rosaura. Voi mi offerite la vita nell’esibirmi la vostra mano; l’accetterò con giubbilo, e terminato avrò di penare.

Colombina. E terminato avrete di tormentarci e di far impazzire quanti noi siamo.

Agapito. Ehi, che cosa dicono? (a Tarquinia)

Tarquinio. Signori, dunque me ne posso andar via.

Pantalone. La vaga pur a bon viazo.

Tarquinio. Se la signora Rosaura sta bene, se la signora Rosaura si marita, non ha bisogno d’altra cavata di sangue. (parte)

Lelio. Signor Pantalone, ho inteso tutto. La signora Rosaura è guarita, ma non è per me. Prima me l’avete negata per causa della malattia, ora non me la potete dare per causa del medicamento. Riverisco lor signori. (parte)

SCENA XVIII.

Il dottor Onesti, Rosaura, Beatrice, Pantalone, Colombina e Agapito.

Pantalone. Patron mio reverito.

Agapito. Signor Pantalone, come sta la signora Rosaura? Che hanno detto i medici? Ha più bisogno de’ vescicanti?

Pantalone. Séntela, sior dottor Onesti? Qua el sior Agapito, pien de bontà e pien de zelo, vedendo che mia fia giera in accidente, l’aveva porta la pasta de’ vessiganti per farla revegnir.

Onesti. A una donna svenuta mettere i vescicatori?