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372 | ATTO TERZO |
Ottavio. Perchè siete un avaro.
Lelio. Così va detto; ma perchè amo tuttavia la signora Rosaura, vi propongo io stesso un’occasione fortunata per collocarla senza dote.
Ottavio. Senza dote?
Lelio. Sì, senza dote.
Ottavio. Chi è questo galantuomo, che sa far giustizia al merito di mia figlia?
Lelio. Ecco qui, il signor Florindo. Egli non ne ha bisogno; è ricco, è solo, e la desidera per consorte. Io cedo a lui le mie pretensioni; la signora Rosaura si spera che sarà contenta, e non manca altro a concludere, che il vostro assenso.
Ottavio. Oh caro il mio amatissimo signor Florindo! La prenderete voi senza dote?
Florindo. Signor sì, bramo la ragazza, e non ho bisogno di roba.
Ottavio. Io non le posso dar nulla.
Florindo. A me non importa.
Ottavio. Voi le farete tutto il suo bisogno.
Florindo. Farò tutto io.
Ottavio. Sentite una cosa, in confidenza. Questi stracci d’abiti che ha intorno, li ho presi a credenza, e non so come fare a pagarli, mi converrà restituirli a chi me gli ha dati.
Florindo. Benissimo, gliene faremo de’ nuovi.
Ottavio. Dite, avrete difficoltà a farle un poco di contraddote?
Florindo. Circa a questo la discorreremo.
Ottavio. Signor Lelio, fate una cosa, andate a chiamare mia figlia e conducetela qui, e intanto il signor Florindo ed io formeremo due righe di scrittura.
Lelio. Vado subito.
Florindo. Amico, dove andate?
Lelio. A chiamar la signora Rosaura.
Florindo. E voi le darete questa nuova?
Lelio. Lo farò con pena, ma lo farò. (parte)