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IL VERO AMICO 339

Beatrice. Che parlate voi dell’età? Vi dico che sono certa dell’amor suo.

Lelio. Qual prova mi addurrete per persuadermi?

Beatrice. Eccola; leggete questa lettera del signor Florindo, a me diretta.

Lelio. A voi è diretta questa lettera?

Beatrice. Sì, a me: non ha avuto tempo di terminarla.

Lelio. Sentiamo che cosa dice. (legge piano)

Beatrice. (Mi pareva impossibile che non avesse a sentire dell’amore per me. Sono io da sprezzare? Le mie nozze sono da rifiutarsi? Povero Florindo, egli penava per mia cagione; ma io gli farò coraggio, io gli aprirò la strada per esser di me contento). (da sè)

Lelio. Ho inteso, parlerò seco1 e saprò meglio la sua intenzione. (a Beatrice)

Beatrice. Avvertite, non lo lasciate partire.

Lelio. No, no; se sarà vero che vi ami, non partirà.

Beatrice. Se sarà vero? Ne dubitate? È cosa strana che io sia amata? Lo sapete voi quanti partiti ho avuti; ma questo sopra tutti mi piace. Povero signor Florindo! andatelo a consolare: ditegli che sarà contento2, che questa mano è per lui, che non dubiti, che non sospiri, che io sarò la sua cara sposa. (parte)

SCENA VIII3.

Lelio solo.

Mi pare la cosa strana. Ma questa lettera è di suo carattere. Mia zia asserisce essere a lei diretta e in fatti a chi l’avrebbe egli a scrivere? Sempre è stato meco; pratiche in Bologna non ne ha. Eccolo che egli viene.

  1. Pap.: Ho inteso, Florindo è un amico assai delicato; parlerò seco ecc.
  2. Zatta: che sarò contenta.
  3. Questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.