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316 ATTO PRIMO

SCENA VI.

Florindo e Lelio.

Florindo. Caro signor Lelio, è necessario, come io vi diceva, che vada via, e sarà un segno di vera amicizia, se mi lascerete partire senza farmi maggior violenza.

Lelio. Non so che dire; andate dunque, se così vi aggrada. Ma di una grazia volea1 pregarvi.

Florindo. Ed io prometto2 di compiacervi.

Lelio. Aspettate a partire fino a domani.

Florindo. Non posso dirvi di no. Ma certo mi saria più caro partir adesso.

Lelio. No, partirete dimani. Oggi ho bisogno di voi.

Florindo. Comandatemi. In che vi posso servire?

Lelio. Sapete ch’io devo sposare la signora Rosaura.

Florindo. (Ah, lo so pur troppo!)3 (da sé)

Lelio. A voi son note le indigenze della mia casa, spero di accomodarmi colla sua dote4. Ma oltre l’interesse, mi piace, perchè è una giovine molto bella e graziosa.

Florindo. (Mi fa morire). (da sè)

Lelio. Che dite, non è egli vero? Non è una bellezza particolare? Non è uno spirito peregrino?

Florindo. (Ah me infelice!) (da sé)

Lelio. Come! Non l’approvate? Non è ella bella5?

Florindo. Sì, è bella.

Lelio. Ella mostrò d’amarmi, e per qualche tempo pareva che fosse di me contenta. Ma sono parecchi giorni che cambiatasi meco, più non mi dice le solite amorose parole,6 e mi tratta assai freddamente.

Florindo. (Ah! temo d’essere io la causa di questo male). (da sè)

  1. Pap.: fin da principio volea.
  2. Pap.: Ed io ho promesso e prometto.
  3. Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Ditemi, non lo sapete? Fior. Sì, lo so. dissimulando la pena».
  4. Pap.: con seimila scudi di dote promessi dal di lei padre.
  5. Pap.: non è bella?
  6. Segue nell’ed. Pap.: mi tratta assai freddamente, e sembra che il di lei amore siasi in odio convertito.