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Arlecchino. In cusina.

Ottavio. Come dunque vuoi ch’io sappia, se son buone o cattive?

Arlecchino. L’è mo quel che diseva anca mi.

Ottavio. Tu sei spiritoso, ma il cuoco è un ignorante.

Arlecchino. Oh, e come! Se no fusse mi, in cusina l’anderia mal.

Ottavio. Sai tu far da mangiare?

Arlecchino. Sior si e sior no.

Brighella. Lustrissimo, la gh’ha una gran pazienza a soffrir sto allocco.

Ottavio. Capperi, signor maestro di casa, voi siete un uomo di garbo, che tratta solo con persone di spirito. Se non mi compiacessi di parlare con sciocchi, non parlerei nemmeno con voi. Non vi abusate della mia bontà, e prima di aprir la bocca per parlar meco, pensate se vi conviene di dire tutto quello che l’animo vi suggerisce. Arlecchino, che foglio è quello che hai in mano?

Brighella. (El m’ha coppà). (da sè)

Arlecchino. L’è una carta che m’ha dà, con riverenza, el cogo.

Ottavio. Sai leggere?

Arlecchino. Lustrissimo, celenza, no.

Ottavio. Come? Non sai leggere? Al mio servizio non voglio gente che non sappia leggere. Ti caccerò via.

Arlecchino. So un pochetto lezer, ma no tanto.

Ottavio. Leggimi quella1 nota.

Arlecchino. (Oh poveromo mi! Adesso sì, che son imbrogiado).2

Ottavio. Animo, spicchiati3.

Arlecchino. Subito. F. p. r. (combina4

Brighella. La lassa, lustrissimo, che lezzerò mi.

Ottavio. Non s’incomodi, signor dottore. Vada a leggere il suo giornale; e badi bene, che le somme siano5 a dovere.

Brighella. (Pazienza, el me mortifica con rason. El troppo zelo me fa fallar). (da sè, via)

  1. Pap.: questa.
  2. Pap. ha invece: «(Za che l’ha volontà de rider, vôi darghe gusto cori dei spropositi), da sè».
  3. Pap.: leggi.
  4. Pap.: compitando.
  5. Pap.: stieno.