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tichi e moderni, a’ quali tutti procurerò di rendere quell’onore che a me medesimo piacerebbe.

Principierò sin da ora a dar quella lode che gli si conviene all’Autore1 della Scena XI dell’Atto Primo della presente Commedia mia, stampata in Venezia dal Bettinelli nel Tomo VI, Commedia XXII, a carte 18, scritta in carattere corsivo, acciò sappiasi non esser opera della mia penna.

Questo è un eccesso di modestia di chi l’ha scritta, temendo forse che la varietà dello stile potesse offender l’orecchio di chi non sapesse il mistero; Egli in queste cose è delicatissimo, e non ha potuto dispensarsi d’innestare nella mia Commedia codesta Scena, perchè la reputa forse necessarissima, o almeno gli avranno dato ad intendere che ella sia tale.

Io per altro, con sua permissione, continuo a crederla inutile affatto, e mi perdonerà se nella mia edizione castro la Commedia, levandola da quel posto.

Non voglio però defraudare il Pubblico di un sì bel pezzo, pieno di sali spiritosi e brillanti, perchè certamente senza di lui sarebbe la mia edizione imperfetta. Eccola, Lettor carissimo, qual ella è; te la offerisco di cuore; considera tu saggiamente, s’ella era poi necessaria a tal segno, che non se ne potesse il mio amorosissimo Correttore dispensare. Confrontala colla Scena I dell’Atto Terzo, e vedrai che la critica del Maestro di Casa fu da me medesimo lavorata, non già collo spirito del Correttore, ma con quel poco di sale che ho in zucca; ed egli ha creduto ben fatto, e indispensabile ad ogni costo, prevenir tal proposito nell’Atto Primo.


SCENA XI.

Arlecchino e Brighella.

Brigh. Felici quei servitori, che gh’ha la fortuna de star con sta sorte de padroni! Vardè quanti ordini che l’ha dà in t’un momento. Adesso me tocca a mi a radoppiar la tavola sta mattina. Ma me preme che anca el cogo fazza la so parte. Oh! l’è qua el sottocogo, ghe dirò do parole.
  1. Ho sospetto che fosse l’ab. Chiari.