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IL POETA FANATICO 547

Rosaura. Vorrei darlo al signor Fiorindo.

Ottavio. Stupirà, quando lo vedrà.

Rosaura. E se egli mi risponde?

Ottavio. Non gli basterà l’animo di fare un sonetto simile.

Rosaura. Lo vedremo.

Ottavio. Sì, lo vedremo.

Rosaura. Lo vado a ricopiare.

Ottavio. Copialo, che tu sia benedetta.

Rosaura. Mi date licenza, che se l’estro mi eccita, componga dei sonetti amorosi?

Ottavio. Se hanno a essere di questo stile, non te li so vietare.

Rosaura. Ma la signora madre, che io venero per tale, benchè matrigna, mi sgrida sempre, e non vorrebbe ch’io coltivassi la poesia.

Ottavio. Beatrice è una sciocca. Mi pento moltissimo di essermi con essa rimaritato. L’ho fatto per la dote; per altro una donna ignorante non era degna di me.

Rosaura. Quando sente parlare di poesia, ride e burla, come se la poesia fosse una cosa ridicola.

Ottavio. Ignorantaccia.

Rosaura. Pretende che io tralasci lo studio delle Muse, per lavorare e cucire.

Ottavio. Quando potete, fatelo.

Rosaura. E se l’estro mi chiama a scrivere?

Ottavio. Lasciate tutto, e scrivete.

Rosaura. (Non vi è pericolo che mia matrigna mi veda più dare un punto. Averò sempre l’estro poetico, per liberarmi dal tedio del lavorare). (da sè, parte)

SCENA III1.

Ottavio solo.

Ottavio. Mia figlia ha composto un sonetto, che mi fa arrossire. Come ha ella facile l’imitazion del Petrarca! Io ho sempre.

  1. Nell’ed. Bett.: seguita sempre la sc. I