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IL TEATRO COMICO 41

Anselmo. Ghe lo dirò, e la poi tornar stassera o domattina, che gh’averò parla.

Lelio. No; avrei fretta di farlo adesso.

Anselmo. La vede; s’ha da concertar alcune scene de commedia; adesso nol ghe poderà abbadar.

Lelio. Se non mi ascolta subito, vado via, e darò le mie commedie a qualche altra compagnia.

Anselmo. La se comodi pur. Nu no ghe n’avemo bisogno.

Lelio. Il vostro teatro perderà molto.

Anselmo. Ghe vorrà pazienza.

Lelio. Domani devo partire; se ora non mi ascolta, non saremo più a tempo.

Anselmo. La vaga a buon viazoa.

Lelio. Amico, per dirvi tutto col cuore sulle labbra, non ho denari, e non so come far a mangiare.

Anselmo. Questa l’è una bella rasonb, che me persuade.

Lelio. Mi raccomando alla vostra assistenza; dite una buona parola per me.

Anselmo. Vado da sior Orazio, e spero che el vegnirà a sentir subito cossa che la gh’ha circa ai caratteri. (Ma credo che el più bel carattere de commedia sia el suo, cioè el poeta affamado). (da sè, e parte)

SCENA II.

Lelio e poi Placida.

Lelio. Sono venuto in una congiuntura pessima. I comici sono oggidì illuminati; ma non importa. Spirito e franchezza. Può darsi che mi riesca di far valere l’impostura. Ma ecco la prima donna che torna. Io credo di aver fatta qualche impressione sul di lei spirito.

Placida. Signor Lelio, ancora qui?

Lelio. Sì, mia signora; qual invaghita farfalla, mi vo raggirando intorno al lume delle vostre pupille.

  1. Viaggio.
  2. Ragione.