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L'EREDE FORTUNATA 561

Rosaura. Siete un bugiardo.

Florindo. Vi compatisco.

Pancrazio1. Orsù, signor Florindo, non posso e non voglio credere che la signora Rosaura sia capace di un’azione così indegna.

Florindo. Dunque sarò io quel mentitore che mi decanta?

SCENA XIII.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Oh, eccola qua.

Florindo. (Ecco il servo opportuno). (da sè)

Arlecchino. Cerca, cerca, v’ho pur trovà. (a Rosaura)

Pancrazio2. Che vuoi tu da mia figlia?

Florindo. Signor Pancrazio, ecco il testimonio che potrà autenticare quello che a me non volete credere.

Pancrazio3. Come! Arlecchino...

Rosaura. Che può dire Arlecchino?

Arlecchino. Mi digo4...

Florindo. Dimmi un poco, chi mi ha introdotto in questa casa?

Arlecchino. Mi, per la porta della riva, a scuro.

Pancrazio5. Tu, tocco di briccone...

Arlecchino. Zitto, che vussioria non l’ha da saver.

Pancrazio6. Io non l’ho da sapere?

Arlecchino. Sior no, no l’ha da saver altri che siora Rosaura.

Rosaura. Io?..

Florindo. Sentite? La signora Rosaura era intesa della mia venuta.

Rosaura. Non è vero.

Florindo. Tu, Arlecchino, chi andavi ora cercando?

Arlecchino. Siora Rosaura, per dirghe che l’amigo l’era in camera a scuro, che l’aspettava.

Pancrazio7. Come?

  1. Bett.: «Pant. Orsù, sior Florindo, no posso e no voggio creder che siora Rosaura abbia fallo sto gran maron».
  2. Bett.: «Pant. Cossa vustu da mia fia?»
  3. Bett.: «Pant. Come! Arlecchin...»
  4. Così Bett.; invece Pap., Pasq., Zatta: Mi? Digo.
  5. Bett.: «Pant. Ti, tocco de desgrazià...»
  6. Bett.: «Pant. Mi no l’ho da saver?»
  7. Bett.: «Pant. Ola!