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L'AVVOCATO VENEZIANO 425

Florindo. Dicono che sia bella. A me non piace per niente. Voi che ne dite?

Alberto. Lassemo andar ste freddure, e tendemo a quel che importa. La me lassa fenir sto sumarietto delle rason, e pò son con ela. (si mette a scrivere)

Florindo. Fate pure. Mi date licenza che prenda una presa del vostro tabacco?

Alberto. La se serva. (scrivendo, senza guardar Florindo)

Florindo. (Prende la scatola ov’è il ritratto di Rosaura, l’apre, lo vede, e s’alza) (Come, che vedo! Il signor Alberto ha il ritratto di Rosaura? Sarebbe mai di essa invaghito? Poco fa, quando la trattai da superba, mostrò di compassionarla; gli domandai se l’aveva veduta, non mi ha detto d’avere il suo ritratto. Gli ho chiesto se gli par bella, ed egli ha mutato discorso. Ciò mi mette in un gran sospetto; non vorrei ch’egli mi tradisse. No, un uomo onorato non è capace di tradire; ma chi m’assicura che il signor Alberto sia tale? Non lo conosco che per relazion dell’amico Lelio. Oimè, in qual confusione mi trovo! Domani s’ha da trattar la causa; se la lascio correre, son pieno di sospetti; se la sospendo, mi carico di spese, di dispiaceri, d’incomodi. Io non so che risolvere). (da sè)

Alberto. Ho fenio tutto. (s’alza)

Florindo. Gran buon tabacco avete, signor Alberto!

Alberto. De qualo hala tolto? El rapè lo gh’ho in scarsella.

Florindo. Ho preso di questo, il quale, invece di darmi piacere, mi ha offeso gli occhi non poco.

Alberto. El sarà de quel suttilo, de quel che fa pianzer.

Florindo. Sì, questo è un tabacco che può far piangere, e mi maraviglio che voi lo tenghiate sul tavolino.

Alberto. Lo tegno per divertirme dall’applicazion, el me serve per scaricar.

Florindo. Badate che non vi carichi troppo.

Alberto. Gnente affatto, la lassa veder... (Oimè, cossa vedio? El ritratto de siora Rosaura?) (da sè)

Florindo. Signor Alberto, questo è il ritratto della mia avversaria!´