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22 ATTO PRIMO

Florindo. Eccomi, signora madre, ho finito. (dopo aver nascosta la lettera)

Ottavio. Ha fatta la più bella lezione che si possa sentire.

Florindo. Ed il signor maestro me l’ha corretta da par suo.

Beatrice. Caro amor mio, sei stracco? Ti sei affaticato? Vuoi niente? Vuoi caffè? Vuoi rosolio?

Lelio. Tutto a lui e a me niente. Sono tre ore che mi vo dicervellando con questo maledetto conto, e nessuno ha compassione di me.

Beatrice. Oh disgrazia, poverino! È grande e grosso come un somaro, e vorrebbe si facessero anche a lui le carezze.

Lelio. Eh! lo so che le matrigne non fanno le carezze a’ figliastri.

Beatrice. Io non fo differenza da voi, che mi siete figliastro, a Florindo, che è mio figlio. Amo tutti e due egualmente; sono per tutti e due la stessa. Caro Florindo, vien qua; lascia ch’io senta se sei sudato.

Lelio. Eh! signora, ci conosciamo. Basta, avete ragione. Prego il cielo che mio padre viva fino a cent’anni, ma se morisse, vorrei pagarvi della stessa moneta.

Beatrice. Sentite che temerario!

Florindo. Cara signora madre, non mortificate il povero mio fratello, abbiate carità di lui; se è ignorante, imparerà.

Lelio. Che caro signor virtuoso! La ringrazio de’ buoni uffici che fa per me. Ti conosco: finto, simulatore, bugiardo.

Beatrice. Uh lingua maledetta! Andiamo, andiamo, non gli rispondere. Non andare in collera, che il sangue non ti si riscaldi; vieni, vieni, che ti voglio fare la cioccolata.

Florindo. Cara signora madre, avrei bisogno di due zecchini.

Beatrice. Sì, vieni, che ti darò tutto quello che vuoi. Sei parte di queste viscere, e tanto basta. (parte)

Florindo. Se non fosse l’amor di mia madre, non potrei divertirmi e giuocare quando io voglio. Mio padre è troppo severo. Oh benedette queste madri! Son pur comode per li figliuoli! (parte)