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IL FRAPPATORE 47

SCENA VI.

Beatrice sola, poi Tonino.

Beatrice. Costei mi pare una pazza. Dice mal del fratello, dice mal del marito. Questi l’ha abbandonata, quegli non ha amore per lei; segno che non merita di essere amata.

Tonino. Oe, putti, zoveni, camerieri. Caro quel zovene, feme un servizio; ho cura delle ostreghe che ho portà da Venezia, porteme da lavar le man.

Beatrice. Signore, mi maraviglio di voi. Per chi mi avete preso? per un servitore?

Tonino. Chi seu, sior?

Beatrice. Sono una persona forestiera, alloggiata qui, come siete voi.

Tonino. Via, no gh’è un mal al mondo. Ho falà, e la xe fenia.

Beatrice. Mi pare peraltro...

Tonino. Da che paese xela, patron?

Beatrice. Di Firenze.

Tonino. Dove che i magna le fortaggie de un vovo solo?

Beatrice. E voi di dove siete?

Tonino. Venezian, per servirla.

Beatrice. Il vostro nome?

Tonino. Tonin Bella grazia.

Beatrice. (Questi è il giovane che conduce Ottavio a viaggiare). (da sé)

Tonino. La diga, xela la verità che qua no se usa troppo a dar del lustrissimo?

Beatrice. Certamente, tra galantuomini questo titolo si risparmia.

Tonino. E a Fiorenza?

Beatrice. A Firenze ancora. Non si dà che dai servitori e dalla gente bassa.

Tonino. Co l’è cussì, torno a Venezia. Me piase sentirme a dar del lustrissimo. Sentirme a dir, co passo per strada: Lustrissimo sior Tonin, bondì a Vussustrissima. Vussustrissima sarà servida. Me sgionfo; vegno tanto fatto1.

  1. «Divento e grasso rigoglioso»; v. Boerio, l. c. alla voce tanto fato.