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362 ATTO TERZO

Arlecchino. Ho da parlar con Vostra Signoria circa, se la me intende.

Alvaro. Circa a che? Non ti capisco.

Arlecchino. Per parte di donna Rosaura.

Alvaro. Caro Arlecchino, consolami con qualche sicurezza dell’amore della mia dama.

Arlecchino. La m’ha manda a chiamar; l’era a tavola, come l’è ela a sto tavolin, che la magnava, e tra pianti e sospiri la confondeva coi più delicati bocconi el nome venerabile di D. Alvaro di Castiglia1.

Alvaro. Cara Rosaura, preziosa parte di questo mio cuore. Dimmi, fedelissimo araldo dei miei contenti, dimmi che ha ella detto di me?

Arlecchino. Me dala licenza, che nell’atto che ghe rappresento le so parole, possa anca gestir come la fava ela?

Alvaro. Tutto ti accordo, tutto, perchè nulla mi occulti del suo amoroso ragionamento.

Arlecchino. Essendo al deser, la prese un biscottin, giusto sul desegno de questo, e bagnandol in un liquor alquanto tetro, come sto caffè, e magnandol delicatamente in sta graziosa maniera, (mangia il biscottino) la diss2: va, trova don Alvaro, e digli che di lui non me ne importa un fico. (ridendo fugge)

SCENA XIII.

D. Alvaro, poi Monsieur le Blau.

Alvaro. Ah villano, briccone! Fermatelo, ammazzatelo, portatemi la di lui testa. Donna Rosaura non è capace di questo, ella mi ama, ella mi stima; quell’indegno ha provocato i fulmini dell’ira mia.

Monsieur. Non mi ascrivete a mancanza...

Alvaro. A tempo giungeste. Ponete mano alla spada. (pone mano)

  1. Bett., Pap., Sav. ecc. hanno solo: di D. Alvaro.
  2. Così Pap.; gli altri: dise o disse.