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226 ATTO SECONDO

SCENA III.

Beatrice e Colombina.

Beatrice. Vedi, se mi è riuscito di farlo partire?

Colombina. Certo che in questa maniera sarebbe partito. Pareva lo voleste sbalzare dalle finestre.

Beatrice. Ma nelle occasioni conviene farsi rispettare e temere.

Colombina. Orsù, signora padrona, l’ora è tarda; è tempo che io vada a rivedere mia madre.

Beatrice. Cara Colombina, non mi abbandonare1.

Colombina. E volete che io perda una sì bella eredità?

Beatrice. Chi t’assicura che ciò sia vero, e non sia un invenzione di quel vecchio malizioso, per cacciarti di casa?

Colombina. Sapete che non mi pare la pensiate male! Mia madre è stata qui, che son pochi giorni. Ella non è tanto ricca, e vostro marito non mi può vedere. Sarà meglio ch’io prima me n’assicuri; ne domanderò a qualche contadino, e se non è vero, voglio che mi senta quel volpone di vostro marito.

Beatrice. Ho sentito chiuder l’uscio dello scrittoio. Il vecchio è levato e non tarderà a venire in sala. Ritiriamoci; ma prima torna a serrar quella camera.

Colombina. Sì sì, non ci facciamo vedere, che non abbia a pensar male. Eccola serrata, ed ecco le chiavi.

Beatrice. Oh, come vuol restar di stucco, non ritrovando Florindo in casa!

Colombina. Con tutta la sua politica, questa volta glie l’abbiamo fatta2.

Beatrice. E Rosaura vuol mangiar l’aglio davvero!

Colombina. Suo danno, crepi pure3 quella bacchettonaccia maliziosa.

Beatrice. Ecco gente, andiamo. (parte)

Colombina. Oh, noi altre donne ne sappiamo una carta più del diavolo. (parte)

  1. Bettin., Sav., Zatta: non abbandonarmi.
  2. Bettin., Sav., Zatta: ficcata.
  3. Bett., Sav., Zatta: che crepi.