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442 ATTO PRIMO


Lelio. Rosa nel purpureo delle gote, giglio poi nella candidezza del seno, e tale la credo nella purità dell’animo.

Rosaura. Benignissimi sensi d’un cavaliere generosissimo!

Lelio. (Poter del mondo! costei mi soverchia!) (da sè)

Rosaura. (Mi par di far colpo). (da sè)

Lelio. In che, signora, ha ella esercitata la rara perspicacità del suo più che femmineo talento?

Rosaura. Appunto nelle femminili incombenze, le quali però, benchè sembrino vili all’occhio fosco degli abbietti mortali, vengono sollevate da più arcani misteri. Scemando dalla conocchia la messe per accrescere al fuso lo stame, io contemplai sovente il sottil filo di nostra vita, e spezzandosi talvolta per accidente un tal filo, così (dicea fra me stessa) così finiamo di vivere.

Lelio. Che eloquenza! che riflessioni! Ma ingrata troppo la sorte col di lei merito, a uffizio indegno anzi che no condanna la sua singolarissima, prodigiosissima e venerabil persona.

Rosaura. La felicità umana consiste nel contentarsi del proprio stato. Io contentandomi della mia sorte, posso chiamarmi felice.

Lelio. Ella si contenta di poco.

Rosaura. Chi si contenta di poco, possiede molto.

Lelio. (Ah! s’io potessi far acquisto di un sì bello spirito, felicissimo me!)1 (da sè)

Rosaura. (Questo suo borbottare fra se, mi lusinga d’una nuova vittoria. Povero stolto! Quanto s’inganna!) (da sè)

Lelio. Deh perdonatemi, se troppo forse rilascio l’incauto freno della rispettosa mia lingua. Avete ancora felicitato qualche avventurato mortale col tesoro della vostra grazia?

Rosaura. Se l’aspetto vostro venerabile non m’imponesse di rispettar ciecamente qualunque vostra proposizione, vi direi codesto essere un paradosso. I tesori di grazie non si dispensano dalle persone abbiette, come io sono.

Lelio. La vostra esemplare modestia vi caratterizza sempre più per una Penelope del nostro secolo.

  1. Bettinelli: Lelio. (Giuro per la delicatezza dell’onor mio, che questa è veramente Donna di garbo! Ah, s’io potessi ecc.)».