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capitolo v 277


dall’autore del Figlio naturale era stata fatta la promessa anche di un Padre di famiglia, che dal Goldoni n’era parimente stato già esposto uno, per lo che si sarebbe veduto se il caso li avrebbe anche in questa occasione combinati fra loro. Però il signor Diderot non aveva bisogno di mendicar soggetti comici al di là dei monti per sollevarsi dalle gravi sue scientifiche occupazioni. In fatti a capo a tre anni diede un Padre di famiglia, che non aveva nessuna analogia col mio. Per esempio, il mio protagonista era un uomo soave, saggio, prudente, del quale sia la condotta come il carattere possono servir d’istruzione e d’esempio; quello del signor Diderot all’opposto era un uomo duro ed un rigido genitore, che nulla perdonava, e che ad ogn’istante malediceva il proprio figlio... Era questi uno di quegli esseri disgraziati, che in natura si danno pur troppo, ma che io per altro mai e poi mai avrei ardito d’esporre sulla scena. Resi dunque la dovuta giustizia al signor Diderot, e nel tempo stesso mi diedi tutta la cura per disingannare coloro, i quali erano di parere, che il suo Padre di famiglia ricavato fosse dal mio, non facendo però parola del Figlio naturale. Fra tanto l’autore, di queste due commedie era in collera, e col signor Fréron, e con me; onde volendo dare sfogo al suo sdegno, nella determinazione di farlo cadere sull’uno o l’altro di noi due, diede a me la preferenza, pubblicando con le stampe un discorso sulla poesia drammatica, nel quale, per vero dire, sono trattato un poco aspramente.

«Carlo Goldoni, egli dice, ha composto una commedia italiana, o piuttosto una farsa di tre atti...» E in un altro luogo: «Carlo Goldoni ha scritto una sessantina di farse...» Si vede bene che il signor Diderot in conseguenza della stima che aveva per me, e per le mie opere, mi chiamava Carlo Goldoni, come è chiamato Pietro le Roux nell’opera di Rosa e Colas. Egli è il solo scrittore francese, che non m’abbia onorato della sua benevolenza. Mi rincresceva, a dir vero, che un uomo di tanto merito fosse mal disposto contro di me; onde feci il possibile per avvicinarmi a lui, non già perchè io volessi fargli lagnanze, ma solamente per convincerlo che non ero meritevole della indignazione di lui. A questo fine procurai di introdurmi in alcune case, ove egli andava continuamente, ma non potei mar avere la sorte d’incontrarlo. Finalmente annoiato di più aspettare, vo a prenderlo in casa. Eccomi dunque un giorno nell’abitazione del signor Diderot scortato dal signor Duni, uno de’ suoi amici. Ci facciamo annunziare, e siamo ricevuti. Il musico italiano mi presenta come letterato suo compaesano, bramoso di far conoscenza con gli atleti della letteratura francese. Erano vani gli sforzi del signor Diderot per occultare l’impaccio in cui lo aveva posto il mio introduttore; contuttociò non potè dispensarsi dall’usare quelle garbatezze e quei riguardi che esige la buona e civile società. Si parla di varie cose; poi cade il discorso sopra l’opere drammatiche. Cui il signor Diderot mi dice con schiettezza, che qualcheduna delle mie composizioni gli aveva recato molto dispiacere; ed io coraggiosamente gli rispondo che pur troppo me n’era accorto. — A voi però è ben noto, o signore (egli riprese), che cosa voglia dire un uomo d’onore ferito nella parte più delicata e sensibile. — Sì, signore (soggiunsi) lo so benissimo, v’intendo, ma non ho per questo cosa alcuna da rimproverarmi. — Su via, su via (prese allora a dire il signor Duni interrompendoci) questi sono pettegolezzi letterari, che non debbono condurre a conseguenza alcuna; seguitate entrambi il consiglio del Tasso: Ogni trista memoria omai si taccia. E pongansi in oblio le andate cose, — A questa uscita, il signor Diderot che in-