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capitolo xi 175


tro, per lei insopportabile. Rapita dal primo, il secondo la séguita, onde si trova ora in potere dell’uno, ora in potere dell’altro, ma sempre però in condizioni da non far temere per la sua innocenza. In tale stato trova un protettore zelante; la moglie di lui ne è gelosa, ed ecco nuove disgrazie, nuovi casi: essa passa da una sventura all’altra; divien sospetta, è arrestata, è rinchiusa; insomma è lo scherzo della fortuna. In una parola la commedia ed il romanzo terminano secondo il solito: Rosaura si cangia nella contessa Teodora, figlia d’un nobile napoletano, e dà la mano a Florindo a lei eguale di condizione. I miei amici ne furono contenti, come pure il pubblico, confessando tutti unanimemente, che la mia commedia avrebbe potuto somministrare materiali sufficienti per un romanzo di quattro grossi volumi in ottavo.

Fresco di una commedia romanzesca, misi mano ad un altro soggetto, che per quanto non presentasse alcun che di maraviglioso, poteva esser collocato nulladimeno nella classe dei Tom-Jones, dei Tompson, dei Robinsons, e dei loro simili, per motivo delle singolari sue combinazioni. Il protagonista per altro aveva qualche principio storico, poichè se l’Avventuriere onorato, che dà il titolo alla commedia, non è in tutto e per tutto il mio vero ritratto, ha provato almeno tali avvenimenti, ed ha egli pure esercitato tanti mestieri, quanti ne ho provati ed esercitati io stesso; onde, siccome il pubblico, applaudendo questa composizione, mi faceva la grazia di appropriarmi fatti e massime che mi facevano onore, non potei occultare di essermi dato un’occhiata nel comporla. Frattanto la mia produzione, e per la parte isterica e per la favolosa, fu ricevuta nella più favorevole guisa. L’Avventuriere onorato ebbe un successo quanto deciso altrettanto costante, e mi compiacqui al tempo stesso e del buon incontro della composizione, e dell’onore dell’allegoria. Era però necessario l’escire una volta da questo genere di commedie di sentimento, e ritornare di nuovo ai caratteri e al vero comico, molto più che eravamo prossimi alla fine del carnevale, e per conseguenza nella necessità di ravvivare lo spettacolo ponendolo a portata di chicchessia. La Donna volubile fu dunque la penultima composizione dell’anno. Avevamo appunto nella compagnia un’attrice, ch’era la donna più capricciosa del mondo; non feci altro che farne la copia, onde alla signora Medebac, che ne conosceva bene l’originale, non dispiacque, benchè buona come essa era, di burlarsi un poco della compagna. Un carattere di tal sorte per sè stesso è molto comico, ma potrebbe bensì facilmente divenir noioso, quando non fosse sostenuto da scene e tratti piacevoli. La continua mutazione delle mode, delle cuffie, come dei divertimenti, può, è vero, fornir materia a ridicolezze, ma per rendere la donna volubile un soggetto propriamente da commedia, bisogna che ne somministrino il ridicolo i capricci dell’animo. Una donna poco fa amante, che un’ora dopo non vuol più amare, e che nel tempo stesso in cui spaccia massime rigide, si accende di una passione del tutto contraria alla sua maniera di pensare, ecco il personaggio comico. Lo scioglimento della commedia è quello appunto, che convenir poteva a una follia meritevole di correzione; infatti determinatasi finalmente Rosaura al matrimonio, tutti l’evitano, nessuno vuol saperne nulla. La signora Medebac sostenne la sua parte a perfezione, e la sua dolcezza naturale fece spiccare a maraviglia la dappocaggine della donna volubile; onde questa commedia ebbe il maggiore effetto desiderabile. Restavami ancora da dare una sola commedia nell’anno per adempire pienamente al mio impegno.