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TARAS BUL'BA

te di piú bello; tutta la superficie della terra si presentava come un oceano verde-oro, in cui sprizzavano milioni di fiori variopinti. Attraverso i sottili e alti steli dell’erba trasparivano fili azzurri, turchini e lilla; la gialla ginestra saltava su con la sua cima a piramide; il trifoglio bianco picchiettava la superficie coi suoi cappelli a ombrello; portata lí chi sa da che parte, maturava nel fondo la spiga di frumento. Di sotto ai loro gambi sottili saltavano su le pernici allungando il collo. L’aria era piena dei cinguettii di migliaia d’uccelli differenti. Sospesi nel cielo stavano gli sparvieri, con le ali spiegate e gli occhi immobilmente fissi nell’erba. Si sentiva da un lato lo schiamazzo di un nuvolo d’oche selvatiche in movimento, chi sa mai in quale stagno lontano. Dall’erba si alzava con ritmiche vibrazioni il gabbiano e si tuffava magnifico nelle azzurre onde dell’aria. Ora, ecco, esso si è perduto nell’alto, e non si vede piú che un punto nero, ed ora, ecco, torna addietro sulle ali e luccica innanzi al sole. Che il diavolo vi porti, o steppe! come siete belle!

I nostri viandanti si fermarono solo per pochi minuti, per il pranzo. A preparare il pranzo il reparto di dieci cosacchi che li accompagnava smontò da cavallo e staccò dalle some i caratelli di legno con l’acquavite e le zucche destinate a


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