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TARAS BUL'BA

di sotto i cappelli, e un certo nobile d’alta statura, la cui testa si elevava al disopra della moltitudine, coperto da uno scolorito soprabito rosso coi cordoncini d’oro anneriti, era il primo a prendere, in grazia delle sue lunghe braccia; baciava la preda raccolta, se la premeva al cuore e la cacciava in bocca. Un falcone, appeso entro una gabbia d’oro, sotto un balcone, era anche lui tra gli spettatori: col becco curvato di fianco e una zampetta sollevata, osservava esso pure attentamente la folla. Ma la gente improvvisamente cominciò a rumoreggiare, e da tutti i lati si ripeteva il grido: «Li menano! li menano! i cosacchi!».

Andavano a capo scoperto, coi lunghi ciuffi, con le barbe cresciute. Andavano senza paura e senza tristezza, ma con un certo sereno orgoglio; i loro abiti di stoffa costosa erano laceri e pendevano loro addosso ridotti a vecchi stracci; essi non guardavano e non salutavano la folla. Avanti a tutti andava Ostap.

Che sentí il vecchio Taras, quando vide il suo Ostap? Che cuore fu il suo in quel momento? Di mezzo alla folla egli lo guardava fiso e non perdeva il suo piú piccolo movimento.

Erano ormai vicini al luogo del supplizio. Ostap si fermò. A lui per primo toccava di bere quel calice amaro. Diede uno sguardo ai suoi


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