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GOGOL

sforzò di calpestare entro di sé l’eterno pensiero dell’oro, il pensiero che come un verme si attorciglia all’anima del giudeo.

— Sta’ a sentire Jankelj — disse Taras al giudeo, che cominciò a fare inchini dinnanzi a lui e chiuse la porta con attenzione, perché nessuno li vedesse. — Io ti salvai la vita (i Saporogini ti avrebbero fatto a pezzi come un cane); ora è venuto il tuo turno; ora rendimi un servigio!

Il volto del giudeo si corrugò un poco.

— Quale servigio? Se è servigio che si può fare, allora perché non farlo?

— Non fare discorsi, menami a Varsavia!

— A Varsavia? Come, a Varsavia? — disse Jankelj. Le sopracciglia e le spalle gli andarono in su dallo stupore.

— Non mi fare discorsi. Menami a Varsavia. Qualunque cosa avvenga, io voglio vederlo ancora una volta, dirgli almeno una parola.

— A chi dire una parola?

— A lui, a Ostap, a mio figlio.

— Forse vossignoria non ha udito che già...

— So, so tutto: per la mia testa daranno duemila ducati. Sanno bene, canaglie, quale è il suo prezzo! Io te ne darò cinquemila. Eccotene duemila subito — Bul’ba cavò fuori dalla


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