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TARAS BUL'BA

tutti i vigneti; nelle moschee depositarono interi mucchi di letame; costosi scialli persiani furono adoperati invece delle cintole per fermare le svitke impiastricciate. Per molto tempo in seguito furono trovate per quei luoghi le pipette corte dei Saporogini. Lieti e contenti essi si misero in mare per il ritorno; ma si diede a inseguirli una nave turca con dieci cannoni, e con una salva generale disperse come altrettanti uccelli i loro fragili canotti. La terza parte di essi fu sommersa nelle profondità del mare; gli altri, invece, si riunirono daccapo e raggiunsero le foci del Dnjepr con dodici barili pieni zeppi di zecchini. Ma tutto ciò non aveva ormai alcun interesse per Taras. Se ne andava per i prati e per le steppe col pretesto della caccia, ma il suo fucile non si scaricava mai. E, deposto il fucile, tutto pieno di tristezza egli andava a sedere sulla riva del mare. Rimaneva lí a lungo con la testa bassa, e sempre dicendo:

— Oh mio Ostap! Oh mio Ostap!

Davanti a lui si stendeva e luccicava il Mar Nero; nel canneto lontano strideva il gabbiano della steppa; i suoi baffi bianchi lucevano d’argento, e le lagrime sulle sue gote colavano una dopo l’altra.

E non poté resistere finalmente, Taras: «A qualunque costo, devo andare a vedere che n’è


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