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TARAS BUL'BA

monte roccioso, di un monte alto tagliato a picco, da cui si scorge lontano la distesa infinita del mare seminato di galere, navi e barche di ogni genere, che sembrano tanti piccoli uccelli, e chiuso ai lati da lidi sottili appena visibili con i loro porti che sembrano zanzare, con le città costiere e i boschi che ondeggiano come erba minuta di prato. Come aquile essi fissavano intorno a sé coi loro occhi tutto il campo e il loro destino che si perdeva nell’oscurità lontana. Sarà, sarà tutto quel campo con le sue piagge e le sue vie, coperto dalle loro bianche ossa sporgenti dal suolo, dopo essersi largamente lavato col loro sangue cosacco e cosparso di carri frantumati, di mozze sciabole e lance; saranno sbalzate di qua e di là le loro teste chiomate coi ciuffi ritorti indietro e coagulati nel sangue e coi baffi giú pendenti; voleranno allora le aquile a colpire e beccare i loro occhi cosacchi. Ma un gran bene era in quel giaciglio di morte cosí largamente e liberamente sparpagliato! Non andrà perduta neppur una delle magnanime gesta e non cadrà, come cade il granello di polvere dalla canna del fucile, la gloria cosacca. Ci sarà, ci sarà un bandurista dalla barba canuta scendente sul petto, e forse ancor pieno di matura virilità, ma vecchio per le bianche chiome e fresco nell’animo, e dirà


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