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GOGOL

al fitto di un canneto cresciuto sopra uno specchio d’acqua: un fruscío, un bisbiglio, e risuonano a un tratto tenui e meste note, che con incompresa tristezza raccoglie il viandante, fermandosi nel suo cammino, non badando né al vespero che si estingue, né ai lieti canti della gente che riede fantasticando dal lavoro dei campi e dalla mietitura, né al lontano rullío di qualche carro diretto chi sa dove.

— Non merito forse pietà in eterno? Non è sciagurata la madre che mi mise al mondo? Non è amara la sorte che mi è toccata? Non sei tu il mio boia crudele, o mio feroce destino? Tutti tu portasti ai miei piedi: i migliori signori di tutta la nobiltà polacca, i piú ricchi possidenti, i conti e i baroni forestieri, e tutto quanto è il fiore della nostra cavalleria. A tutti fu permesso di amarmi, e ognuno di essi avrebbe stimato il mio amore una grande felicità. Bastava un cenno della mia mano, e il preferito tra essi, il piú bello, il piú brillante per l’aspetto e per i natali, sarebbe divenuto mio marito. E per nessuno di essi tu ammaliasti il mio cuore, o mio feroce destino; ma tu ammaliasti il mio cuore, passando sopra a tutti i migliori eroi dei nostri paesi, per uno straniero, per un nostro nemico. Perché mai Tu, Purissima Madre di Dio, per quali peccati, per quali gravi falli,


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