Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/130


GOGOL

dell’anima e i sentimenti che fino allora una mano ignota avea trattenuti con un rigido freno, ora si sentirono liberati, padroni di sé, e già volevano effondersi in un torrente irresistibile di parole, quando la bella, volgendosi improvvisamente alla tartara, le domandò tutta inquieta:

— E la mamma? Hai portato il pane a lei?

— La mamma dorme.

— E al babbo?

— Gliel’ho portato; mi ha detto che verrà in persona a ringraziare il cavaliere.

Ella prese il pane e se lo recò alla bocca. Con una gioia inesprimibile Andrea stava a guardare come ella lo spezzava con le sue nitide dita e lo mangiava; e ad un tratto si ricordò di quell’ossesso per fame, che era spirato sotto i suoi occhi per avere inghiottito un tozzo di pane.

Si fece pallido, e, prendendola per un braccio, cominciò a gridare:

— Basta! Non mangiare piú! È tanto tempo che tu non mangi; ora il pane ti può avvelenare.

Ed ella subito abbassò il braccio, depose il pane nel piatto, e come un bambino obbediente guardava il giovine negli occhi. E magari potesse la parola di un uomo qualsiasi esprime-


128