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TARAS BUL'BA

letta, finché si trovarono sotto le alte oscure vôlte della chiesa del convento. Dinnanzi ad uno degli altari, adorno di alti candelabri e candele accese, stava in ginocchio un sacerdote e pregava lentamente. Accanto a lui, ai due lati, erano, in ginocchio anch’essi, due giovani chierici in tunica violacea e camice di merletto bianco, reggendo in mano gl’incensieri. Il sacerdote pregava perché si compisse il miracolo: perché la città si salvasse, perché si fortificasse lo spirito abbattuto, perché si sopportasse con pazienza il dolore, perché fosse allontanato il tentatore, pronto a suggerire il malcontento, e le vili e pusillanimi querele sulle infelicità della terra. Alcune donne, simili a spettri, stavano in ginocchi appoggiando, e addirittura abbandonando, il capo sfinito sulla spalliera della sedia o dello scuro banco di legno che avevano davanti; alcuni uomini, addossati alle colonne e ai pilastri di sostegno delle navate laterali, erano anch’essi in aria triste in ginocchi. Una finestra con le vetrate dipinte, che era al disopra dell’altare, s’illuminò del roseo incarnato del mattino, e ne caddero sul pavimento cerchietti luminosi, azzurri, gialli e d’altri colori, che rischiararono d’un tratto l’oscurità della chiesa. Tutto l’altare col suo abside fondo apparve improvvisamente illuminato; il fumo dell’incenso


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