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NICOLA GOGOL 9

Il carattere peculiare della sua opera di scrittore è un umorismo bonario, una così mite ironia, che pare pietà e commiserazione ed è invece il sorriso di chi soffre veracemente della miseria e della viltà altrui. Il suo umorismo non è nè il motto ridanciano tonico-digestivo del Rabelais, nè il sorriso lacrimoso e passionato dell’Heine, nè la malignità ghignante del Thackeray.

Dalle prime sue novelle (Dikanka e Mirgorod) emerge come in nessun’altra opera quell’angolo della Piccola Russia con tutte le sue tradizioni e costumanze, con tutti quei tipi così squisitamente intuiti e delineati, che ci sembra di averli veduti e uditi non ricordiamo dove. Quelle gaje giornate luminose, quelle serene notti fosforescenti di stelle, quelle vergini bianche dagli occhi chiari e ingenui, quelle faccie aduste dagli occhi scavati ci s’imprimono tanto in mente, che non le dimentichiamo più.

Tre elementi predominano nelle prime novelle: il gajo, il fantastico, il malinconico. Ride e fa ridere d’un buon riso contagioso, che spalanca la bocca e fa sereno lo spirito, quando annoda e svolge i più comici intrighi, con una rude lingua dialettale, piena di soavi scorci di stile e d’imagini gioconde: – diviene fantastico quando una polla, una lieve vena di poesia popolare, lo trae a raccontare strane avventure di mondi occulti, scene terrificanti di gnomi o di diavoli: – è malinconico quando rivede e rivela il dolce paese, che gli ha dato la vita, allora la sua lingua si affina, acquista la suasività del ritmo poetico: pare che egli intraveda il suo paese di sogno, attra-